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Ikea, come si smontano i diritti

07-12-2017 09:50 - News brevi
Due licenziamenti clamorosi in due giorni, ma non è una novità. Da anni i lavoratori sono senza contratto nazionale e integrativo, mentre l´azienda evita il dialogo con i sindacati. Filcams: "Addetti considerati al pari dei mobili che vendono"

In molti conoscono la libreria Billy, il tavolino Lack, l´armadio Pax. In pochi invece, fino a qualche giorno fa, conoscevano Marica Ricutti di Milano e Claudio Amodio di Bari: due lavoratori, due genitori, due persone che quei mobili ogni giorno li classificano, li accatastano e ce li vendono.

La storia del licenziamento per "giusta causa" di Marica, 39 anni, separata, madre di due figli piccoli, di cui uno disabile, ha fatto scalpore. Era impiegata all´Ikea di Corsico, periferia di Milano, dal 1999, non aveva mai ricevuto un richiamo e nemmeno una contestazione sulla sua professionalità. È stata messa alla porta per due ritardi di due ore ciascuno causati dall´esigenza di accompagnare suo figlio in un centro medico per le necessarie terapie. Ikea si è difesa affermando che "negli ultimi 8 mesi Ricutti ha lavorato meno di 7 giorni al mese. Nell´ultimo periodo, in più occasioni, si è autodeterminata l´orario di lavoro senza alcun preavviso né comunicazione di sorta, mettendo in grave difficoltà i colleghi". E ancora: "Da lei gravi episodi di insubordinazione".

Dopo poco più di 24 ore, però, lo stabilimento Ikea di Bari ha licenziato anche Claudio, quarant´anni, di Monopoli, anche lui con due bimbi piccoli. Era dipendente da quasi 11 anni, e in questo caso il motivo del licenziamento sono 5 minuti in più nella pausa di mezz´ora regolarmente timbrata.

Due licenziamenti clamorosi in due giorni. Allora viene da domandarsi: cosa sta succedendo in Ikea? E in primo luogo si scopre che è un algoritmo a decidere i turni di lavoro per i 6.500 dipendenti del colosso dell´arredamento svedese in Italia. Lo fa una volta ogni sei mesi, a settembre e a marzo, sulla base di un disegno prestabilito, determinato dal flusso dei clienti, dal numero dei lavoratori impiegati e dalle esigenze di ogni singolo reparto. In questi ingranaggi sono finite le vite, sia professionali che private, di Marica e di Claudio.

Ma c´è di più. Perché qualcosa negli ultimi tempi è cambiato nella strategia di Ikea. Le storie dei due licenziamenti appaiono infatti come la punta di un iceberg ben nascosto tra gli scaffali. I problemi, in effetti, non riguardano solo gli stabilimenti di Bari e Corsico, ma quelli di tutta Italia. A Padova, ad esempio, il numero dei lavoratori che Ikea chiama co-workers, secondo i sindacati, è sceso da 450 a 350, il tempo parziale di lavoro (che oscilla tra 24 e 30 ore settimanali) riguarda il 70% della forza lavoro, della quale il 65% è femminile. Il salario medio è compreso tra i 900 e i 1.200 euro, mentre in Svezia lo stipendio medio per un dipendente del commercio oscilla tra i 2.500 e i 3.000 euro.

"L´atteggiamento di Ikea nei confronti dei lavoratori italiani e dei sindacati è cambiato radicalmente negli ultimi mesi", conferma Marco Beretta, segretario generale della Filcams Cgil di Milano, il sindacato che ha impugnato il licenziamento di Marica Ricutti e che il 5 dicembre sarà davanti allo stabilimento di Corsico per un sit-in di protesta. "Prima c´è stata la disdetta del contratto integrativo del 2015, poi un cambio di passo importante che ricade tutto sui dipendenti. È una nuova strategia che considera i lavoratori al pari dei mobili che vende, non so come altro definirla".

Un programma che, a quanto pare, si inserisce anche nello spazio lasciato vuoto nell´intero settore dal mancato rinnovo del contratto nazionale con Federdistribuzione e dalle norme liberiste messe in campo dal Jobs Act. "Ma Ikea ci mette del suo – afferma Fabrizio Russo, segretario nazionale della Filcams –. La vertenza ha avuto origine nel 2015, quando il colosso svedese ha disdettato il contratto integrativo aziendale. Da quel momento si è passati da un´impostazione molto nordeuropea a una parecchio italianizzata".

Il contratto integrativo che è venuto dopo, infatti, non è stato nemmeno applicato e Ikea ha colto la palla al balzo per adottare un nuovo modello organizzativo, stravolgendo orari e mansioni dei lavoratori. "Una modifica profonda e unilaterale della vita quotidiana dei dipendenti – continua Russo – messa in atto da un momento all´altro, senza nessun confronto con il sindacato".

Da quel momento sono cominciati i problemi. "Storie come quelle di Claudio Amodio e Marica Ricutti sono da tempo all´ordine del giorno – conclude Russo –. Sono solo i casi più eclatanti di una serie che andiamo denunciando da due anni. E questo succede perché in Ikea non possiamo più discutere di organizzazione del lavoro".

Ikea ha cercato di difendersi dal clamore mediatico di questi giorni. "Siamo da sempre un´azienda sensibile e rispettosa delle diversità – mette in chiaro in una nota –. Questo atteggiamento è frutto della consapevolezza che le differenze di genere, orientamento sessuale, provenienza, età e anzianità aziendale sono elementi di sviluppo culturale individuale e collettivo".

Eppure i lavoratori sono senza contratto nazionale e senza contratto integrativo, mentre i sindacati non hanno alcuna voce in capitolo. È proprio così che le persone diventano come i Billy, i Lack e i Pax: da smontare e rimontare a seconda delle esigenze.



Fonte: Rassegna.it

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